e le tre contro-verità per prevenirla e risolverla con il Turnaround
Ci sono tre false credenze che fanno della crisi d’impresa un argomento-tabù al punto da impedirne la reale comprensione comportando non solo un ritardo nella prevenzione e risoluzione di criticità ma addirittura anche ad accelerarne gli effetti negativi.
La prima falsa credenza
è considerare che sia un problema che tocca poche aziende con i loro pochi “sfortunati” imprenditori.
In realtà, analizzando semplicemente gli score elaborati da Cerved vediamo che il 15% delle aziende sono classificate a rischio e il 25% come vulnerabili. Ben il 40% delle aziende italiane hanno indicatori con segnali più o meno evidenti che qualcosa non va. Non significa che sono in crisi ma sicuramente rimanere inerti o fare qualcosa di sbagliato potrebbe portare al peggioramento.
La consapevolezza dell’imprenditore e del management di comprendere i motivi del loro rating (non bancario), il trend degli ultimi anni e il confronto con i propri concorrenti sarebbe già un buon punto di partenza per anticipare alcune problematiche.
La seconda falsa credenza
è pensare che una crisi si manifesta da un momento all’altro, come se bussasse alla porta degli amministratori e del management in modo lampante e quindi da affrontare a muso duro, all’italiana, creativamente.
Invece da una ricerca dell’Università Bocconi è emerso che su 100 aziende che entrano in una procedura concorsuale, momento ormai conclamato di crisi, ben il 70% aveva segnali premonitori già 5 anni prima e addirittura il 90% 4 anni prima.
E infatti la crisi inizia silenziosamente anzitutto erodendo “subdolamente” l’efficienza, i margini e poi la cassa e anche il morale e la motivazione dei dipendenti. È la fase di crisi fantasma. Nessuno se ne accorge, non c’è allarmismo e anche nessun cambiamento particolare ma le cose peggiorano. Può durare 2-3 anni.
Arriva allora la crisi negata. I segnali sarebbero già chiari ed evidenti a occhi esperti per impostare una strategia speciale, da Turnaround, ma il management tende a negare qualsiasi ipotesi di trovarsi in una situazione straordinaria; anzi, si ostina a “spingere” su una strategia di crescita che assorbe o continua a bruciare liquidità. È una fase che dura 1-2 anni.
E infine si arriva alla crisi conclamata vera e propria. Quella evidente, quella innegabile dove la liquidità è agli sgoccioli e si inizia, all’italiana, a inventarsi qualsiasi cosa pur di avere nuove risorse finanziarie, affetti da sindrome della slot-machine che porta alla convinzione che ancora una giocata e sicuramente si vince contro il banco. Aumenta ancora il debito, prima con il sistema bancario (fin quando ce lo permetterà), poi con l’erario (posticipando gli f24), poi con i fornitori chiedendo dilazione e infine con i dipendenti. Arrivati alla resa dei conti è tardi e si è costretti a procedure o al fallimento.
La terza falsa credenza
ha a che fare con il nostro orgoglio o peggio presunzione. Pensiamo di sapere quando ci sono quei segnali premonitori “straordinari” ma anche di saperli risolvere in modo efficace ed efficiente.
Non c’è nulla di più sbagliato. Così come facciamo fatica ad auto-valutarci come persone fisiche, con tutto il nostro bagaglio di sentimenti ed emozioni, anche chi governa un’azienda, e magari l’ha pure fondata e la gestisce da decenni e forse da tutta una vita, ha completamente perso l’imparzialità nel vedere cosa realmente accade. È “innamorato” delle sue strategie, delle sue persone, della sua visione impendendo una lettura neutrale dei dati e degli eventi.
Quante volte ci diciamo che chi è dentro il problema non può risolverlo?
Si chiama reality-gap ossia la distanza tra la realtà “vera”, normalmente capita da chi è distaccato, anche emotivamente, e la realtà percepita dall’imprenditore/manager che invece è contaminata da aspettative e valutazioni troppo soggettive.
Dunque, in sintesi, se è quindi vero che:
- un rischio crisi colpisce o potrebbe colpire un numero elevato di aziende,
- si può assolutamente capire con molti anni in anticipo quali sono i segnali premonitori,
- si è impossibilitati a valutare al meglio l’azienda che gestiamo,
cosa bisogna fare?
Molto semplice.
- Verificare costantemente lo stato di salute aziendale con analisi pluriannuali, con particolare attenzione ad alcuni indicatori e con il confronto anche con la concorrenza. L’allerta d’impresa, che sarà a breve introdotto da decreti attuativi di una legge approvata un anno fa dal parlamento (l. 155/17) costringerà di fatto le aziende a dotarsi di strumenti e monitoraggi costanti proprio per prevenire il rischio di crisi d’impresa (ne parleremo in un prossimo articolo)
- Laddove ci fossero segnali premonitori di potenziale rischio, impostare scenari previsionali sui flussi di cassa e del patrimonio netto e comprendere la gravità e urgenza. Ebbene sì, la crisi non solo non è un tabù ma si può anche misurare come la scala Richter di un terremoto e anche prevedere quando può arrivare.
- Infine, se gli scenari previsionali dovessero far comprendere che c’è un rischio “terremoto-aziendale” con tanto di previsione temporale e intensità, ci sono metodologie e strumenti per un intervento specialistico.
Per tutto questo esistono gli specialisti del Turnaround, metodologia di gestione operativa e strategica che permette di prevenire e risolvere criticità aziendali per garantire la continuità ma anche porre le basi solide per il rilancio e lo sviluppo di un’azienda.
Imprenditori e manager che da anni lavorano in un’azienda affrontando sfide di ogni ordine e grado non hanno l’esperienza necessaria a comprendere, misurare e risolvere una crisi e rischiano di diventare perno inefficiente, rendendo il tutto più costoso e rischioso. Le loro qualità e la loro esperienza devono rimanere al servizio dell’impresa, del mercato, dei clienti e non defocalizzarsi su aspetti straordinari.
La crisi non è un tabù e, se colta in anticipo, diventa ragione di evoluzione e di elevazione del pensiero creativo, manageriale e imprenditoriale che possono rendere ogni azienda migliore.