Quando si seguono corsi di marketing inerenti la comunicazione aziendale, capita che si insista sulla necessità dell’esistenza di una narrazione aziendale ovvero di una specifica modalità comunicativa verso l’esterno – fatta di toni e contenuti – capace di veicolare l’identità aziendale unitamente a valori, missione e visione.
Capita altresì di vedere declinati gli archetipi comunicativi in 12 categorie, come indicato nell’immagine
Dunque un’azienda può essere ricondotta a un archetipo comunicativo in base al suo “linguaggio” adottato verso l’esterno; meglio detto, quanti interagiscono con l’azienda arrivano a percepirla e a categorizzarla secondo un archetipo (famosi LEGO – Creatore, ROLLS ROYCE – Sovrano, PATAGONIA – Esploratore, HARLEY DAVIDSON – Fuorilegge, TESLA e APPLE – Mago, ecc.)
Credo che su questo si possa essere d’accordo; gli stessi manager e professionisti possono identificarsi in uno o più di questi archetipi: Saggio piuttosto che Fuorilegge, Angelo custode piuttosto che Eroe; perché no Sovrano o Creatore.
Chi svolge il mestiere di Temporary Manager impegnato all’interno delle aziende scopre però che la narrazione prodotta e percepita all’esterno spesso non coincide con quella imperante – o strisciante – all’interno dell’azienda.
La seconda narrazione. Quella dell’imprenditore
Parecchi anni fa – prima di intraprendere la carriera di libero professionista – mi trovai a ricoprire il ruolo di Direttore Commerciale in una media azienda in cui l’imprenditore avrebbe gradito dalla mia funzione un atteggiamento aggressivo e di schiacciamento dall’alto, in particolare verso i sottoposti e gli agenti. L’archetipo poteva essere quello del Sovrano, tendente a Tiranno.
In questo caso la narrazione dell’imprenditore non era per nulla allineata a quella aziendale. Per fortuna.
Spesso la narrazione aziendale – soprattutto nelle aziende di medio-grandi dimensioni – è demandata a professionisti se non ad agenzie esterne: ciò contribuisce a determinare una narrazione che certamente “diluisce” quella dell’imprenditore o addirittura non vi ha nulla a che fare.
Chi svolge la professione di Temporary Manager deve interagire con numerosi imprenditori e si trova all’interno di narrazioni tanto diverse quanti sono i medesimi: già, poiché spesso prevalgono le narrazioni personali rispetto a quelle – più formali – dell’azienda.
Esse sono riflesso non solo di visioni aziendali e di modalità di gestire il business da parte dell’imprenditore ma anche di sue situazioni personali e familiari. Soprattutto familiari vista la tipologia delle nostre PMI: ciò crea uno scenario complesso e a volte un po’ occulto.
Il disallineamento tra le narrazioni aziendale e imprenditoriale è avvertito in misura più o meno critica in funzione del ruolo del Manager, dipendendo dalla misura in cui questi interagisce con l’esterno: più critica quando si deve interagire con i clienti e aziende partner, un po’ meno con fornitori.
Per motivi facilmente comprensibili il Manager si trova nella condizione di dover inserirsi nell’alveo della narrazione dell’imprenditore, a farsi trasportare dalla sua corrente senza per questo farsi travolgere, anzi navigandola il più abilmente possibile.
In situazioni siffatte è importante mantenere la neutralità e la capacità di super-visione, per svolgere il meglio possibile l’incarico e apportare il necessario contributo di molteplici esperienze aziendali.
Non è possibile influire sulla narrazione dell’imprenditore ma si può tentare di ridurre il disallineamento proprio facendo riferimento ai valori, alla mission e alla visione aziendale in modo che la prima non vada a influire troppo sulla seconda: il Manager a seconda del suo incarico può dover giocare un ruolo di “cuscinetto” tra le due narrazioni, avendo come benchmark della sua condotta la narrazione aziendale.
Se la narrazione dell’imprenditore è forte occorrerà giocare l’archetipo del Saggio e non quello del Sovrano per evitare attriti; oppure quella del Creatore per smarcarsi e allo stesso tempo dimostrare la giusta tempra, visto che una narrazione Sovrano potrebbe non gradire narrazioni troppo blande tipo Uomo comune.
Se l’imprenditore ha invece una narrazione da Uomo comune potrebbe gradire il suo opposto, quale narrazione Mago o Esploratore ovvero un Manager capace di innovare e di dare un’impronta consistente al business.
Può essere utile soffermarsi sugli archetipi per capire chi si ha di fronte e quale narrazione potrebbe gradire, senza perdere di vista come detto il benchmark aziendale;
una cosa è certa: il Manager deve avere una precisa posizione narrativa, che potrebbe non essere la sua naturale.
La terza narrazione. Quella dell’azienda al suo interno
Per dirla in un modo un po’ dissacrante si tratta della narrazione dei dipendenti al distributore automatico del caffè. E come tale va gestita.
Meglio detto, sono il pensiero, la visione, le attitudini e la condotta delle persone all’interno dell’azienda, a partire dalle prime linee: quasi mai coincidono con la narrazione aziendale e tanto meno con quella dell’imprenditore.
Il Temporary Manager non deve farsi trasportare in questa narrazione – a differenza di quanto avviene con quella dell’imprenditore – e nemmeno scontrarsi con essa: piuttosto rapportarsi a essa come in un contraddittorio, alla ricerca di alleati ma senza perdere l’obiettivo di un confronto costruttivo.
L’esperienza dice che la terza narrazione è in generale più blanda della seconda, ed è più vicina all’Uomo comune; ma c’è sempre qualche Ribelle o Burlone. Spesso vorrebbe essere una narrazione nascosta ma non lo è.
Ritengo che il Manager debba rapportarsi alla terza narrazione nel vissuto quotidiano, dovendo interagire col personale aziendale e in definitiva avendone bisogno, senza però farsi influenzare: forse occorre saper “parlare” la narrazione del personale ben sapendo che non è quella di riferimento.
Alla fine quale deve essere la narrazione del Temporary Manager?
Ritengo che l’ascolto dei bisogni e la comprensione delle aspettative – o dei desideri espliciti e latenti, ma qui si va in un contesto più impegnativo – debba suggerire la giusta narrazione che, ripeto, spesso non è quella naturale. Alla base di tutto un atteggiamento sempre vigile e “sensori” attivi.
Infine, la narrazione del Manager esterno deve poter cambiare nel tempo in quanto col passare del tempo diventano sempre più chiari il contesto e le condizioni al contorno; le prime fasi delle missioni sono le più rischiose dal momento che non sono sufficientemente note le narrazioni altrui e le condizioni occulte che le determinano.
La consapevolezza degli obiettivi da perseguire nella missione aiuta il Manager a trovare la giusta narrazione, senza perdere di vista quella più gradita all’imprenditore e in seconda istanza quella più formale dell’azienda.