(Il capro espiatorio, dipinto di William Holman Hunt (1854), City Art Gallery, Manchester, UK)
Come è noto, il tessuto economico italiano è gestito per l’85% da imprese familiari: la presenza della famiglia nell’industria italiana è importante e ha un peso determinante nell’economia del paese.
Inoltre, è noto che uno dei problemi della scarsa crescita delle aziende in Italia è determinato dall’identificazione dell’imprenditore con l’azienda: l’imprenditore in molti casi non “ha” un’azienda ma “è” l’azienda: ovvero non c’è distinzione tra lui, la famiglia che rappresenta e l’azienda.
Sappiamo, invece, che ogni testo di organizzazione aziendale recita che l’organizzazione è un organismo a se stante, vivente, che ha un ciclo di vita autonomo e, per rimanere vitale, deve essere continuamente in cambiamento e in linea con il mercato.
Se l’imprenditore con i propri valori ha determinato la nascita dell’azienda, perché al tempo T0 tali valori erano appropriati e vincenti, non è assolutamente detto che oggi, al tempo T1 o domani al tempo T2 tali regole siano ancora vincenti per l’organizzazione.
Se, da una parte, la cultura e i miti legati alla cultura, creano una visione comune e una coesione interna, il conformismo alle regole può costituire una barriera al mondo esterno e una forte resistenza ai cambiamenti.
I miti possono essere un ponte dal passato al presente influenzando ruoli e comportamenti.
È utile notare inoltre che qualche volta tali regole hanno le loro origini in eventi traumatici della famiglia e possono trasmettere alle nuove generazioni comportamenti disfunzionali.
Purtroppo, infatti, l’identificazione dell’imprenditore con l’azienda impedisce un naturale adeguamento ai tempi dell’organizzazione e quindi, in questi casi, la continuità valoriale non è necessariamente un valore.
Chi gestisce l’organizzazione, l’imprenditore, è chiamato dunque a creare “discontinuità” rispetto alle regole culturali passate, se questo è funzionale alla crescita e all’evoluzione dell’azienda stessa.
In questo contesto diventa strategico per il T.M, in quanto “agente di cambiamento”, conoscere e capire quali sono queste regole o, usando il linguaggio del Voice Dialogue, quali sono gli aspetti dominanti, quali sono “i miti familiari” che possono determinare le dinamiche sottostanti presenti in azienda che bloccano lo sviluppo e, a volte, la sopravvivenza stessa, dell’azienda.
Il Temporary Manager dovrebbe aprire il “vaso di Pandora” e scoprire quali di questi miti sono attivi nell’azienda dove opera, usando però grande cautela e metodo, perché si toccano i fondamenti della famiglia, le principi cardine della sua gestione aziendale e familiare.
Con quali strumenti agire, allora?
Come Temporary Manager, un importante approccio metodologico ci deriva dalla conoscenza dei principi di cultura organizzativa e dalle tecniche di counseling del Voice Dialogue.
Essi evidenziano quali tra gli aspetti dominanti dell’imprenditore sono diventati aspetti dominanti dell’organizzazione stessa e che sono divenuti spesso anche schemi restrittivi e vincoli disfunzionali, tanto da diventare soffocanti per le risorse utili alla crescita dell’organizzazione.
Diventa quindi cruciale per i T.M.:
- conoscere la cultura di riferimento e i valori che hanno guidato l’imprenditore, la famiglia e l’azienda;
- comprendere quali valori siano ancora “regole vincenti”;
- capire come intervenire, qualora tali regole siano divenute vincoli o schemi rigidi per l’organizzazione;
- creare spazio per introdurre nuove prospettive, senza generare conflitto non gestito, onorando i comportamenti che in passato hanno portato al successo.
Per fare tutto questo, diventa necessario concentrarci sul riconoscimento di queste dinamiche (o miti familiari) che sono ostacolanti e limitanti per la performance aziendale ma che spesso sono diffuse in azienda e non così facilmente identificabili razionalmente.
Il mito del martirio
Il martire ha creato la sua identità intorno all’idea che è obbligato a fare cose che non vuole fare ma, senza di lui, il mondo non va avanti.
Lavora dodici ore al giorno perché non ci sono altre persone che riescano a fare il lavoro bene e non va in pensione per lo stesso motivo.
Di solito, la vera ragione è che al martire piace il lavoro che fa e non vuole perdere il controllo. Questo mito del martirio è anche accettato e approvato dalla famiglia e dai dipendenti con commenti tipo: “Se non ci fosse stato lui…” alimentando l’ego dell’imprenditore.
Là dove è presente un martire, l’azienda è destinata a grandi difficoltà nel passaggio generazionale.
Il T.M. deve fare i conti con questa credenza e cominciare a far intravvedere alla famiglia e all’azienda, come si possa creare spazio tra le qualità dell’imprenditore e i bisogni dell’organizzazione, affinché la successione possa realizzarsi con successo.
Il mito dell’armonia
Alcune famiglie insistono sul fatto che “tutto vada bene” sia in famiglia sia in azienda, anche quando ci sono chiari conflitti non emersi.
L’apparente armonia con cui ci si presenta nei confronti del mondo esterno impedisce di affrontare e risolvere realmente il conflitto sottostante dettato dalle reali differenze dei membri della famiglia.
Questo problema è aggravato ulteriormente con la seconda generazione, quando questa, entrando in azienda, è chiamata inevitabilmente a partecipare a questo mito e ciò crea contrasti, perché i figli o i nipoti possono solo aderire o ribellarsi alla regola di famiglia.
Si inizia a capire veramente un sistema quando si tenta di cambiarlo, quindi il mito dell’armonia viene sciolto tipicamente quando il T.M. inizia a intervenire sulla ripartizione delle responsabilità, sulle deleghe e sul reporting aziendale.
Il mito del Messia
Nella fantasia di alcune famiglie esiste una figura esterna, spesso il T.M. stesso, che arriva in azienda per risolvere tutti i problemi, e possibilmente senza cambiare nulla in azienda o nella famiglia se ne va dopo l’intervento.
Chiaramente colui che si trova ad agire con questi presupposti è destinato al fallimento dal primo giorno.
Le aspettative irrealistiche sono l’alibi per definire come “non utile” l’intervento esterno se il T.M non ridefinisce fin dall’inizio le aspettative dando concretezza al progetto e agli obiettivi.
Se questa situazione sembra assurda, basta vedere il turnover dei top manager nelle imprese familiari per cambiare opinione.
Il mito dello stereotipo
Questo mito presuppone la definizione di un ruolo specifico per ogni membro della famiglia; anche questo mito porta resistenze al cambiamento.
Per esempio, ci sono aziende dove un figlio, di salute cagionevole sin da piccolo, viene automaticamente escluso dal ruolo di direttore commerciale perché non abbastanza forte per viaggiare.
Altro esempio, quando il primogenito venga destinato alla posizione di CEO indipendentemente dalle sue capacità o voleri, fatto che, insieme ad altri stereotipi, non rende fluida e meritevole l’assegnazione delle responsabilità.
Il Temporary Manager, in casi come questi, deve avere una visione olistica dell’azienda, della famiglia e della proprietà, poiché il suo ruolo è proprio quello di mettere in discussione questi vecchi stereotipi per sfruttare appieno le vere capacità umane della impresa.
Il mito del capro espiatorio
Trasferire tutte le colpe dell’azienda sulla testa di una persona permette alla famiglia di non discutere la vera causa del problema e di nascondere le responsabilità che dovrebbero essere note e condivise.
Per esempio, sono capitati casi di aziende che si trovavano in grave difficoltà per l’operato degli imprenditori, dove invece di capire il problema è stato più facile dare la colpa ai figli che per svariati motivi sono stati considerati non all’altezza dei loro compiti.
Questi descritti sopra, come altri casi, evidenziano come il mito serva per nascondere problemi di fondo. Il figlio “capro espiatorio” potrebbe anche accettare questo ruolo designato per rilassare la tensione in famiglia e creare armonia.
Cosi facendo, però, si produce un danno in azienda, perché si continua a non vedere la vera causa dei problemi.
Il Temporary Manager deve essere consapevole che questo mito è importante per la famiglia.
Rompere la triangolazione potrebbe trasferire la colpa ma con un rischio: il Temporary Manager potrebbe diventare il nuovo capro espiatorio!
Jonathan Selby, Fondatore e Temporary Manager di TMDirect
Roberta Giorgetti Dall’Aglio, Fondatrice e Docente di Winnerteam
Bibliografia
- E. Poza “Family Businesses”
- Kets de Vries “Family Business on the Couch”
- E. McKenna “Business Psychology and Organizational Behaviour”
- Dialogo delle voci. Conoscere ed integrare i nostri sé nascosti: Hal Stone (Autore), Sidra Stone