Sicuramente vi sarà capitato di leggere o sentire pareri scettici riguardo alla validità dei business plan realizzati per le start-up. Gli stessi investitori istituzionali danno, in effetti, più peso all’idea imprenditoriale e al team rispetto ai numeri presentati dagli startuppers.
Il motivo prevalente di quest’atteggiamento risiede nella consapevolezza del fatto che generalmente le parti più quantitative di un business plan, ossia quelle relative alle previsioni di vendita e le conseguenti proiezioni di conto economico e flussi finanziari, si basano su ipotesi non supportate da dati “storici”.
Ovviamente è la natura stessa della “start-up” che essendo contemporaneamente “novità di mercato” (di servizio o prodotto) e/o “new company” non può avere propri dati storici da cui attingere per supportare le ipotesi del piano.
L’approccio “tradizionale” ossia quello di partire dall’idea imprenditoriale per arrivare ai numeri, passando per tutte le fasi di redazione del business plan, rischia non solo di portarsi dietro l’atteggiamento scettico degli investitori che giudicheranno il piano ma anche, al contrario, il pericolo assai più temibile che gli startuppers si convincano della fondatezza assoluta degli stessi numeri.
Ne segue la frustrazione di questi ultimi a vedersi negato un finanziamento dal solito “establishment finanziario conservativo che non crede nell’innovazione e nei giovani”.
In realtà il Temporary Manager che aiuta giovani potenziali imprenditori a realizzare il proprio sogno, può utilizzare un approccio “circolare” al business plan che ha al centro come obiettivo principale la sostenibilità del piano, piuttosto che l’aggiudicarsi il finanziamento o il premio a tutti i costi in un contest per “start up”.
Tra l’altro, strutturare il piano partendo dalla sua sostenibilità nel tempo, può risultare vincente rispetto a chi si pone come unico obiettivo l’esigenza di mostrare proiezioni e risultati attesi strepitosi per gli investitori.
L’approccio “circolare” al business plan è strutturato quindi per seguire il progetto dinamicamente nel tempo per assicurarne il successo, obiettivo tipico di un Temporary Manager, rispetto alla presentazione “statica” del piano tradizionale agli investitori, tipica del consulente.
Con questo non si vuole negare la valenza dell’approccio tradizionale, ovviamente validissimo per contesti già avviati e/o dove la presenza di dati storici aziendali e di mercato costituisce una solida base per convalidarne le ipotesi.
Prima di addentrarci nella descrizione del metodo “circolare” analizziamo le principali differenze tra un contesto di un’azienda già operante e quindi “con storico” e una start up.
Azienda già operante | Start Up | |
Prodotto / servizio | Esistenti | Nuovo |
Mercato | Consolidato | Nuovo |
Quote di mercato | Esistenti | N. A. |
Trend delle vendite | Storico | N. A. |
Concorrenti | Definiti | Da identificare |
Organizzazione | Definita | Da implementare |
Costi generali | Storico | Da dimensionare |
Fornitori | Esistenti | Da individuare |
Costi variabili | Storico | Da negoziare con fornitori |
Si capisce, quindi, come sia particolarmente difficile convincere gli esaminatori di un piano per una start-up sulla fondatezza dei dati a supporto e come sia altrettanto pericoloso, in assenza di uno storico, convincersi della loro adeguatezza da parte dei redattori del piano stesso.
Abbiamo detto che l’approccio “tradizionale” tendenzialmente ha come obiettivo l’ottenimento di un finanziamento presentando un piano statico, mentre l’approccio “circolare” pone al centro la sostenibilità nel tempo prefigurandosi un adattamento “dinamico”. Cambia quindi totalmente sia il focus sia l’orizzonte temporale.
In effetti, che senso avrebbe ottenere il finanziamento di un piano basato su scenari irrealistici, quando poi si scopre nel tempo che le ipotesi di partenza non sono suffragate dai dati. Il finanziamento intanto è stato erogato e si sono iniziati gli investimenti ma si scopre (ex post) la loro non sostenibilità. Il supporto che un Temporary Manager può contribuire a fornire per il successo di un nuovo progetto, sta proprio nel seguirne nel tempo l’andamento piuttosto che nell’ottenerne l’avvio a tutti i costi. Una delle conseguenze è anche quella di arrivare alla conclusione (in anticipo rispetto al finanziamento e all’inizio degli investimenti) che non sia sostenibile iniziare il progetto.
Approccio “tradizionale”
Invece l’approccio “circolare” mira a verificare se esistano i presupposti per la sostenibilità andando a identificare i fattori organizzativi minimi che comportano costi di struttura e investimenti minimi per l’attuazione del nuovo prodotto/servizio. La determinazione di questi costi fissi e variabili porta alla definizione di un prezzo e un margine ipotetico che si utilizza per simulare le quantità di break even. Si confronta quindi questo dato con il potenziale di mercato del nuovo prodotto/servizio verificando quindi se tale Output (quantitativo minimo di pareggio risultante dai costi di struttura minimi) sia sostenibile rispetto alle dimensioni del mercato potenziale.
Nel diagramma seguente è schematizzato l’approccio “circolare”
Dalla definizione dell’idea imprenditoriale prima ancora di ipotizzare una potenzialità di mercato del nuovo prodotto/servizio e quindi immaginare scenari (best case & worse case), si dimensiona l’organizzazione minima (risorse umane e investimenti). A questo punto si può ipotizzare un prezzo del prodotto/servizio che consenta una marginalità tale da ripagare i costi variabili e gli investimenti nel tempo. In funzione di questo ipotetico prezzo si determinano le quantità di breakeven necessarie. A questo punto si devono verificare due aspetti fondamentali:
- Il prezzo del nuovo prodotto/servizio è sostenibile dal mercato?
- Il volume a break even è sostenibile rispetto al mercato potenziale?
Il metodo è dinamico perché consente di simulare diverse interazioni sia sull’organizzazione sia sulla politica di pricing fino ad arrivare all’eventuale modifica del prodotto servizio.
Inoltre consente di modificare nel tempo le ipotesi del piano per meglio adattarsi all’evoluzione reale una volta lanciata la newco con i nuovi prodotti/servizi nel mercato.
La differenza sostanziale con l’approccio “tradizionale” al business plan è che con questo metodo il Temporary Manager può aiutare gli startupper a meglio focalizzare la loro attenzione sugli aspetti organizzativi e produttivi o di sourcing, che sono spesso sottovalutati. In effetti, la maggior parte degli startupper proviene da R&D o comunque da una forte competenza sul prodotto/servizio e ha una naturale tendenza a concentrarsi sulla propria idea e sull’assoluta certezza del potenziale di mercato.
Il metodo “tradizionale” che parte proprio dall’idea innovativa e dalla valutazione del suo potenziale di mercato per arrivare subito a ipotizzare i vari scenari e proiezioni di vendita è quindi molto “seducente” per chi è “innamorato” della propria idea e mira soprattutto a ricevere i finanziamenti alla nuova impresa.
La predisposizione mentale di chi applica il metodo “tradizionale” è quella di prefigurarsi già un’organizzazione ottimale in termini di risorse umane e investimenti necessari a intraprendere l’attività proseguendo quindi a ipotizzare proiezioni di vendita in grado di coprire tali costi e ripagare gli investimenti. Tipicamente il worse case scenario sarà già in grado di assolvere tali obiettivi rassicurando gli startupper e gli investitori della validità del piano con il rischio per gli startuppers di autoconvincersi sull’infallibilità dello stesso.
Il compito del Temporary Manager non è certo deprimere l’entusiasmo di chi ha immaginato il nuovo prodotto/servizio, ma neppure convalidarne a ogni costo le ipotesi. Piuttosto è quello di rassicurare sulla sostenibilità del piano e di accompagnare nel tempo la start-up adeguandone l’organizzazione alla sua evoluzione nel tempo.