Mi chiamo Gianluca Ferrari e sono un Direttore Sistemi Informativi.
In questo scritto espongo il mio punto di vista sul significato da dare a Digital Transformation e su due aspetti che ritengo importanti nella conduzione di un relativo progetto:
- Le reali esigenze (hard)
- La relazione umana (soft)
Cos’è la Digital Transformation?
Per far comprendere il mio pensiero, partiamo da una frase che sentiamo spesso nei messaggi pubblicitari:
«Questo prodotto ha il 25% di grassi in meno» … ma meno di che?!?
Questa frase non vuol dire nulla perché manca il termine comparativo; da un punto di vista razionale e concreto, se una persona cerca di fare il conto di quanto possa essere la diminuzione in termini assoluti, non ne ricava un risultato oggettivo.
Ma molte persone si mettono a fare il conto? NO. A loro il messaggio “parla” su un altro piano: quello emotivo e irrazionale. Per questo in molte frasi di marketing è presente.
Tenendo presente questo, facciamo una ulteriore considerazione.
Gli argomenti dei Sistemi Informativi sono da sempre ostici per molte persone e per molti decision maker. Per alcuni in modo consapevole, per molti altri in modo inconsapevole.
Mentre è più facile immaginare cosa fa un pianificatore della produzione o un direttore amministrativo o un commerciale, anche se non se ne conosce fino in fondo il dettaglio, non è altrettanto immediato comprendere appieno cosa fa chi si occupa di Sistemi Informativi.
Diventa quindi molto difficile far comprendere il lavoro che c’è dietro il far gestire i processi, il fornire informazioni corrette e tempestive, facendole fluire e crescere in modo ordinato e standardizzato.
Allora sono nati tutti questi acronimi da parte dei nostri amici americani che sono così bravi nell’“acronimizzare” qualsiasi cosa: ERP (Enterprise Resource Planning), BI (Business Intelligence), CRM (Customer Relationship Management) e poi PLM, PDM, SCM, DAM… e via dicendo.
Si sono create cioè espressioni che colpissero l’irrazionale e l’emotivo di chi non comprende a fondo l’argomento ma viene attirato da alcuni dei termini contenuti nella “definizione marketing” del prodotto o progetto che sia.
Da lì si sono iniziati a sentire imprenditori che chiamavano ERP il loro programma di carico/scarico magazzino ed emissione DDT e Fatture, altri che durante le riunioni in associazioni industriali sentivano il collega che diceva di aver installato, ad esempio, un ERP di fama internazionale e allora lo volevano anche loro, altri che dicevano ai colleghi di averlo installato anche se non era vero.
Scattavano quei processi tipici della sfera dell’emotività. Dopo ERP sono fiorite tutte le altre sigle e il gioco si è fatto divertente…
Per cui anche oggi si continua con sigle e titoli ad effetto, sempre in questa direzione: AI (Intelligenza artificiale), IoT (Internet of Things), Blockchain, 2.0, 3.0, 4.0, Cyber Security… fino a Digital Transformation.
Quindi Digital Trasformation è una “modalità di espressione marketing” che racchiude in sé qualsiasi trasformazione digitale su prodotti, servizi o processi che intercorre in un’azienda, al fine di far comprendere all’interlocutore non esperto il tipo di attività che si propone di approcciare.
Dopo essere giunto alla convinzione che sia necessario approcciare una Digital Transformation, ovviamente un decisore vuole arrivare a una declinazione più precisa sul cosa fare e come.
È necessario definire e poi realizzare un “Progetto”.
ll Progetto di Digital Transformation e sue particolarità di relazione umana
Quando si passa dal concetto di marketing alla messa a terra di un progetto qualsiasi riguardante i Sistemi Informativi, si torna a monte con il problema di far comprendere più in dettaglio e dal punto di vista pratico, oggettivo e misurabile cosa si sta proponendo o cosa si sta facendo durante la sua esecuzione o quanto costa o quanto tempo ci vuole o qual è il payback e via dicendo.
L’unica altra funzione aziendale dove ho riscontrato una simile difficoltà nel far capire il senso del proprio impegno è la parte dell’HR che fa “Gestione” del personale, tanto che spesso la funzione è riferita dall’esterno come “quelli delle paghe”, non comprendendo l’enorme valore che quella “Gestione” ha (o avrebbe) nelle aziende.
Queste due funzioni hanno un elemento molto importante in comune: hanno a che fare con le persone o per meglio dire: “si fanno gli affari degli altri”: sono due funzioni che dall’esterno del processo “mettono il naso” in quello che fai o come lo fai, o perché lo fai, o quanto ne sai e altri aspetti simili.
Scattano quindi dei normali processi di reazione umana.
È perciò molto importante, da parte di chi porta avanti questo tipo di attività, tenere sempre bene a mente due aspetti, il primo soprattutto nei confronti del committente e il secondo soprattutto nei confronti degli utenti dell’organizzazione coinvolti:
- Le sigle sono marketing, i prodotti e progetti sono mezzi, il vero obiettivo sono le reali esigenze nell’interesse dell’azienda in cui sono portati avanti.
- Si ha a che fare con esseri umani con i relativi aspetti di razionalità e irrazionalità, di oggettività e di emotività.
Facciamo alcune considerazioni su ciascuno di questi aspetti.
Le reali esigenze
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Pregresso di esperienze e percepito
Purtroppo, specialmente qualche anno fa, alla comparsa del fenomeno degli acronimi, ma tuttora in qualche caso, alcuni fornitori di software e servizi (in qualche caso anche personale interno dei sistemi informativi aziendali e questo è un “purtroppo al quadrato”) hanno fatto leva sull’appeal, emotivo del momento, di una particolare “sigla” di moda per vendere soluzioni.
Spesso queste soluzioni, per le reali esigenze dell’azienda, non erano quelle giuste e talvolta l’azienda non aveva in concreto nemmeno la specifica esigenza per quel tipo di progetti; contemporaneamente sono nate molte società “improvvisate” che trattavano l’argomento di moda senza averne la reale competenza approfondita.
Questo, a poco a poco, ha generato una sfiducia latente o esplicita verso nuove avventure di progetto da parte di molti imprenditori che temevano di rimanere di nuovo scottati da esperienze di progetti mastodontici, dispendiosi e che non finivano mai. Progetti, poi, che si portavano dietro costi di esercizio annuali importanti.
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Priorità alla comprensione e valutazione della reale esigenza
Oggi sicuramente c’è una maggiore consapevolezza ma è comunque importante l’approccio di chi propone.
È ovvio che chi lavora su determinate tecnologie, sia innamorato della potenzialità che la soluzione può offrire, della qualità della proposta tecnica, della sua innovatività, scalabilità, della sua interfaccia utente, ecc.
Tuttavia l’approccio deve partire dall’esigenza e deve saper riconoscere se quella realtà aziendale ha veramente bisogno di quella meraviglia tecnologica.
Solo dopo aver chiarito veramente l’esigenza fino in fondo e come questa potrà realisticamente evolvere nel medio termine, ci si può chiedere quale sia la via per coprirla e se in questa si possa utilizzare un “mezzo” o uno “strumento” rappresentato da qualche soluzione digitale.
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Credibilità
Proprio per quanto è avvenuto storicamente in modo distorto, è molto importante non solo essere credibili, ma anche apparire credibili, con un approccio aperto, concreto e oggettivo che possa far percepire che non proporremo attività che non servono realmente. Si deve far sentire emotivamente che si sta mettendo al centro l’esigenza vera dell’azienda e non le caratteristiche di un bel pacchetto di alte potenzialità.
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Suddivisione in Steps
Dopo che si è deciso di proporre e di mettere in campo un bel progetto, avendo valutato che copra le esigenze, la domanda successiva è su come suddividere una “Big Picture” di intero progetto in steps auto-sussistenti (Tiny Steps), ben spiegabili in termini di tempi di esecuzione e di risultati attesi che evidenzino quale concreta copertura dell’esigenza, visibile per l’azienda, quello step produrrà.
Come se i Tiny Steps fossero dei mini-progetti con la proprietà di coerenza nel quadro della Big Picture. In questo modo si definisce una Road Map che ha l’obiettivo di spiegare, con la maggiore chiarezza possibile, la complessità a un interlocutore non specialista di questi progetti per il quale tale complessità non è per niente ovvia a prescindere.
La durata del singolo Tiny Step in relazione all’intero va tarata sull’esigenza di “ritmo” chiesta o percepita dall’interlocutore.
È necessario poi che ciascuno step venga rispettato come fosse l’intero progetto per tempi e risultati ottenuti (auspicabilmente anche per costi).
Tali risultati di step vanno condivisi con l’interlocutore come fosse una fine progetto a sé stante. Solo così, a mio avviso, può essere mantenuto alto l’interesse per la prosecuzione del progetto. E così via fino alla “Big Picture”.
Rispetto al dinamismo dell’impresa, per Big Picture di ampio respiro temporale, a ogni fine step sarebbe opportuno fare un check sull’eventuale aggiornamento dell’esigenza e dimostrare che anche il singolo step riesce a tenere il passo di cambiamento dell’azienda, ad “accompagnare” la sua evoluzione.
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Criterio Generale
In questa valutazione delle esigenze è importante capire come, in quella specifica realtà, si declina l’esigenza del termine marketing Trasformazione Digitale. Può essere un piccolo passo di digitalizzazione se l’azienda è ancora molto indietro o un aggiornamento di uno strumento digitale già in uso verso tecnologie più efficienti ed efficaci o una rivoluzione se, ad esempio, un giovane imprenditore vuole dare una significativa sterzata al modo di gestire le proprie informazioni con annessi processi.
La relazione umana
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Razionalità ed Emotività
Torniamo al concetto riportato all’inizio: una persona racchiude in sé razionalità ed emotività. Queste in ciascuno sono presenti in diverse percentuali. Tenerle presenti entrambe durante una relazione di progetto è importantissimo.
Gestire la parte razionale è l’attività meno difficile, anche se anch’essa non è facile, in quanto ha più direttamente a che fare con la competenza hard che si sta mettendo in campo, con la propria professionalità. Si ragiona con le persone su come è il processo, dove sono i punti di miglioramento, si valuta se c’è un punto di mediazione tra ragionamenti divergenti, ecc.
La parte più difficile è la gestione dell’emotività, dell’istintività, dell’irrazionale che portano ad output comportamentali talvolta all’apparenza non logici e che tuttavia spesso sono la parte fondante di accettazione o non accettazione di un cambiamento, di un progetto o della persona stessa che quel progetto sta portando avanti.
A chi collabora con me dico sempre che solo il 50% dell’attività è tecnica (hard) l’altro 50% è relazionale (soft).
Vorrei considerare quindi soprattutto questo secondo aspetto nella conduzione di un progetto, che è molto connesso con le competenze soft di chi si relaziona.
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Tipologia di attori con cui ci si relaziona
Nel portare avanti un progetto di Digital Transformation ci si trova in mezzo a varie categorie di persone che conosciamo bene, di cui dobbiamo sempre tenere presente, oltre alla parte razionale, anche quella emotiva.
– L’imprenditore: caratterizzato generalmente da concretezza. Emotivamente a lui interessano l’azienda e le sue prestazioni, i clienti e il loro grado di soddisfazione, le opportunità e il modo di coglierle. Una sua caratteristica spesso è la velocità di decisione e la determinazione. Raccoglie elementi concreti nella sua parte razionale e sensazioni nella sua parte emotiva e poi immediatamente o improvvisamente decide.
La parte emotiva e istintiva in certe situazioni lo porta a richiedere un cambio di rotta immediato.
Per quanto ampia delega egli possa dare, non smette mai di raccogliere segnali dall’interno e dall’esterno dell’azienda e sa che il timone resta in mano a lui.
– Il manager di processo o funzione aziendale: è caratterizzato mediamente da una buona o forte competenza hard sull’argomento che segue e da diversi gradi di competenza soft.
Si trova a metà strada tra l’imprenditore e l’operativo assumendo nel proprio ambito le caratteristiche un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.
Emotivamente ha bisogno di sentirsi importante per l’azienda, al limite del determinante per le prestazioni della propria funzione: ha bisogno di sentire che il timone della propria funzione ce l’ha in mano lui.
Spesso è in grado di far arrivare sensazioni positive o negative verso l’alto (imprenditore) e/o verso il basso (operativi).
– L’operativo: è caratterizzato dall’essere più o meno competente secondo una più ampia varianza. Questo dipende da sé ma anche dalle scelte che l’azienda fa per lui. Emotivamente vi è anche un’ampia varianza sull’importanza che attribuisce al lavoro rispetto alla vita fuori dal lavoro, dalla quale dipende molto l’approccio emotivo a ciò che gli viene richiesto.
In ogni caso ci tiene a far bene il suo compito, a sentirsi apprezzato, a sentirsi importante per l’attività che svolge. Conosce il reale svolgersi delle attività e spesso il cambiamento di qualcosa su cui lui non ha rilievi da fare, lo preoccupa o lo disturba. Spesso la sua mente va a pensare alle eccezioni e a come dovrebbero essere gestite dopo il cambiamento.
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Empatia e Ascolto profondo
Per l’approccio relazionale, in particolare (ma non solo) dell’emotività, è importante sviluppare e mettere in campo, tra le altre, due forti competenze soft: l’empatia e l’ascolto profondo.
– L’empatia rappresenta il sapersi mettere nei panni dell’altro.
Quando ci approcciamo, se riusciamo a non prendere troppo sul serio noi e il progetto che stiamo portando avanti, riusciamo ad avere l’interesse nel capire il punto di vista dell’altro quando ci fa una osservazione o un commento. Riusciamo a esprimere interesse per la persona che ci sta parlando.
Spesso la motivazione di contrarietà su un punto tecnico nasconde altre motivazioni per quella contrarietà. D’altra parte consideriamo sempre che se ci dicessero che da domani per lavorare dovremmo prendere il brevetto da sub o parlare correntemente cinese, un po’ di preoccupazione ce l’avremmo anche noi.
Spesso l’aggressività nasconde timori, incertezze, insicurezze che è importante rispettare. Tuttavia dietro una critica aggressiva si può nascondere una persona che ha una forte competenza e che, se compresa, può essere di forte contributo alla qualità finale del risultato.
Ad esempio, appena cogliamo una osservazione e una critica, possiamo certamente dire: «Ah, ok! Allora facciamo così» ma ci costerebbe poco aggiungere frasi del tipo: «Effettivamente qui c’è un buco nel mio ragionamento, per fortuna ci siamo confrontati, altrimenti…» o «Grazie per il tuo contributo», in ciò separando il contributo contenuto nella comunicazione dal modo con cui esso è stato espresso.
Se, così facendo, quella persona si sente considerata, si sente parte delle decisioni prese e quindi del progetto, può esserci una buona possibilità che il suo approccio cambi e allora si avrebbe una preziosa fonte di informazioni e di sostegno al cambiamento.
Quindi cerchiamo di capire i motivi della modalità di approccio, mettendoci sempre nei panni dell’interlocutore.
Questo non toglie certo tutti i contrari, ma probabilmente lascia solo i contrari a prescindere.
Valorizziamo al massimo l’interlocutore anche a scapito della nostra visibilità: il nostro scopo è far accadere le cose.
Diamo valore alle “persone plurali” nel declinare i verbi nelle nostre relazioni e presentazioni ufficiali di avanzamento progetto: “abbiamo fatto” o addirittura “avete fatto” e “hanno fatto”.
– Riguardo l’ascolto profondo, la differenza sta nel “sentire” le parole dell’interlocutore o nell’”ascoltare” con tutto noi stessi quello che l’interlocutore ha da dirci: se “sentiamo” le parole, magari fin che stiamo facendo qualcos’altro o in modo distratto, ci perdiamo l’80% di quello che ci vuole dire, visto che sappiamo che questa è la percentuale di comunicazione non verbale.
È importante stare attenti al modo con cui ci parla, alle parole nascoste nella frase, che ci rivelano qualcosa di non detto o non detto fino in fondo, alle espressioni del viso e dello sguardo, alle pause e al grado di tensione dell’interlocutore, al momento in cui avviene la conversazione rispetto ad altri avvenimenti, ecc.
Dobbiamo essere concentratissimi nell’ascoltare, far sentire che per noi quella comunicazione è importante, far vedere che ci ricordiamo i vari punti che ha toccato, rispondere nel merito o capire se sta chiedendo una risposta o è solo il bisogno di poter dire.
Durante la conversazione ricordiamoci che anche noi comunichiamo, anche inconsapevolmente, per l’80% in modo non verbale e che l’interlocutore ci “legge”.
Tutto ciò:
- è facile? Assolutamente No.
- Ci impiega tempo prezioso, di cui non abbondiamo? Assolutamente Sì.
- Ne vale la pena? Sì, in quanto da questo dipende il 50% del successo progettuale.
Conclusione
- Proponiamo una Digital Transformation, consci che è una espressione generica, solo per far capire l’importanza che oggi riveste in una qualsiasi azienda un percorso di questo tipo.
- Individuiamo una reale esigenza che porti vantaggio all’Azienda.
- Suddividiamo il progetto in step coerenti con il Risultato finale da ottenere.
- Condividiamo l’avanzamento e i passi successivi.
- Durante lo svolgimento, oltre a mettere in campo la nostra professionalità (competenze hard), sviluppiamo le nostre competenze soft di attenzione all’interlocutore che sono una delle parti determinanti per la buona riuscita del progetto.