Approfondendo il tema del Passaggio Generazionale, in questa seconda parte vediamo ciò che ci viene tramandato dalla storia in merito al passaggio generazionale; un “problema atavico” che come vedremo spesso veniva risolto in maniera violenta ma anche con soluzioni ingegnose e interessanti, sviluppate nel tempo, proprio per arginare le insane derive cruente dovute alla sete di potere dei “subentranti”.
Giulio Cesare e Bruto (101-44 avanti Cristo)
È leggendo le Vite di Svetonio che si incontra la famosa frase pronunciata da Cesare mentre riconosce Bruto tra i congiurati che lo stanno pugnalando. Alle volte, infatti, i padri sono ciechi e non riescono a vedere la realtà che hanno davanti agli occhi, fino al momento del disastro irreversibile.
Cesare a poco più di cinquant’anni aveva già fatto tutto quello che si può fare in una vita: conquistate le Gallie, sbaragliati nemici e avversari, eliminato anche l’ultimo concorrente Pompeo, era già stato nominato dittatore a vita. Una cosa non gli era riuscita: aveva avuto una sola figlia, Giulia, ma gli era morta. In Oriente aveva avuto una storia con la regina Cleopatra, da cui gli era nato un figlio, Cesarione, che diventerà anche faraone (col nome di Tolomeo XV) e morirà a 17 anni, ma a Roma non poteva essere riconosciuto come erede legittimo.
E poi c’era quella storia di gioventù, con la bellissima Servilia… A Cesare, e non solo a lui, era rimasto il dubbio che il figlio di lei, Giunio Bruto, fosse anche figlio suo. Ma Cesare era sempre impegnatissimo e, quindi, Bruto fu adottato da uno zio materno (per ereditarne i beni) mentre Cesare, rimasto ufficialmente senza figli suoi, adottò il giovane Ottaviano mentre questi era occupato in Oriente.
Ma “quel” dubbio restava, e si ripresentò – terribile – al momento della pugnalata di Bruto, che poteva essere suo figlio. Ma quella morte nell’aula del senato, con il gesto finale di coprirsi la faccia con la toga dopo aver visto che anche Bruto era tra quanti lo pugnalavano, fotografa perfettamente la cecità di un padre che non ha voluto vedere e comprendere. Poteva riconoscere Bruto ed adottarlo quando era il momento giusto?
Merovingi e maggiordomi (466-800)
La dinastia dei Merovingi, una volta conquistata la Gallia nel V secolo, imparò presto le gioie della vita di quella che sarà la Francia, sprofondando nel lusso di allora e finendo per delegare tutte le decisioni al suo staff, guidato dal maggiordomo di palazzo. Si tratta di una situazione che aveva una sua logica iniziale, messa a punto dal re Clodoveo alla fine del V secolo, e che funzionò a lungo, senza confusione di ruoli.
Il maggiordomo aveva la delega totale in campo militare, mentre il re amministrava la giustizia e riscuoteva tasse e tributi. Ma, progressivamente, i re delegarono anche le loro ultime prerogative a conti, duchi e vescovi, mentre i maggiordomi si “allargarono” diventando le guardie del corpo dei re, financo rivestendo il ruolo di tutori qualora il successore fosse stato minorenne. È la fase che gli storici hanno definito, con un giudizio garbatamente ironico, dei “re fannulloni”.
Andò tutto bene, insomma, senza che il re neppure se ne accorgesse, finché il maggiordomo, prima ne svuotò il ruolo (e le casse) e poi ne prese il posto. Ecco ciò che accadde con i due ultimi maggiordomi, Carlo Martello e Pipino… Quest’ultimo sostituì, senza ulteriori finzioni, la dinastia dei vecchi Merovingi con la sua casata: i Carolingi. Casata che prende il nome da suo figlio, Carlo Magno, il quale non avrà proprio bisogno di maggiordomi.
Harald Bluetooth e suo figlio (911-986)
Nel 1999, la Ericsson che, non a caso, ha sede in Svezia, ha sviluppato un sistema in grado di connettere tra loro tutti i dispositivi che ci portiamo in tasca (cellulari, smartphone, tablet, ecc.) per consentire di scambiarsi i relativi dati senza bisogno di cavi o di programmi di interconnessione. Un’innovazione cui venne dato il curioso nome di “Bluetooth” e che fu subito sposata da Sony, Ibm, Intel, Toshiba, Nokia e altri, tanto che ora è un sistema comunicativo standard presente in ogni apparato portatile.
Forse non tutti conoscono la storia che c’è dietro al nome e al logo scelto. Esso, in realtà, è la fusione di due lettere scritte con i caratteri runici dell’antico alfabeto vichingo: la H e la B che erano le iniziali di Harald Bluetooth, re di Danimarca, che alla metà del X secolo si convertì al cristianesimo, riuscendo a pacificare così i piccoli e litigiosi regni del nord e mettendo in connessione il suo popolo con il resto dell’Europa di allora.
Si chiamava Harald Gormsson (figlio di Gorm) ed era soprannominato Blåtand/Bluetooth, cioè “dente blu”. La sua storia è raccontata dai monaci medievali Widuchindo di Corvey e Adamo di Brema che narrano delle doti, diplomatiche e militari, con cui riuscì a riunire tutti i popoli del nord. Costruì una rete di castelli a pianta circolare (i “Trelleborg”) a presidio del suo regno e un ponte, a Ravning, che è ancora in piedi dopo oltre mille anni.
Insomma Harald Bluetooth fu un innovatore, capace di usare alternativamente la persuasione o la forza, a seconda dei casi; una personalità che era riuscita a parlare con tutti, ma che evidentemente non riuscì a stabilire una comunicazione altrettanto efficace in casa propria… se è vero che morì nel 986, mentre tentava di placare una ribellione guidata da suo figlio, Sven Barbaforcuta, che diventerà, poi, re di Danimarca, Norvegia e Inghilterra.
Si vede che erano mutati i tempi: i giovani avevano sempre fretta di cambiare le cose e non amavano perdere tempo in estenuanti riunioni diplomatiche.Così succede quando i padri più potenti, intelligenti e innovatori non riescono a capire che è il omento di passare la mano. E se non lo capiscono da soli, ci pensano i figli a farglielo capire, molto velocemente. Anche senza messaggini.
Il maso chiuso di Andreas Hofer (1767-1810)
Alzi la mano chi non sa che il maso chiuso tirolese è quel fossile dell’antico diritto germanico che lascia l’azienda agricola al primogenito maschio. Tutti? Bravi, sbagliato in pieno!
La storia è molto più lunga e un po’ complicata. Non si tratta di un ultimo relitto dell’antico “maggiorasco” medievale, ma – anzi – è l’esatto contrario: almeno fino al 1787 era in auge un vero e proprio “minorasco”, cioè l’appezzamento di terreno che poteva garantire l’autosufficienza famigliare doveva toccare, per legge, al più piccolo dei figli!
Nei primi anni dell’Ottocento, ad esempio, Andreas Hofer, il comandante delle rivolte tirolesi contro Bavaresi e Napoleonici, era l’ultimo di una famiglia di sette persone quando, alla morte del padre Josef, toccò a lui in eredità il maso Sandhof con annessa la locanda di San Leonardo in Val Passiria da cui ebbe inizio la sua gloriosa epopea che finì tragicamente davanti al plotone di esecuzione di Mantova nel 1810.
La filosofia di questo antico istituto giuridico non sta nello stabilire a priori chi sia il destinatario del maso (ormai può tranquillamente essere anche una figlia femmina), quanto invece garantire l’integrità, in termini di funzionalità e autosufficienza, dell’azienda di famiglia.
Dinasty, tre puntate alla Casa Bianca (1961-2016)
Già a inizio Novecento, a pochi anni di distanza l’uno dall’altro, divennero Presidente due lontani cugini, Teddy e Franklin Delano Roosevelt, entrambi discendenti da un nobile colono olandese seicentesco di Nuova Amsterdam,
i cui possedimenti terrieri comprendevano a quel tempo, casualmente, l’intera Manhattan di oggi. Ma almeno erano uno repubblicano e l’altro democratico…
La nostalgia dinastica latente degli Americani ha trovato il suo primo e indimenticabile approdo con la saga dei Kennedy e con la sua tragica parabola discendente, dalla gloria insanguinata di John e Bob all’eterna promessa mancata di Ted, passando per la perfetta Jackie traghettata con eleganza dalla Casa Bianca ai panfili di Onassis, nonostante Dallas.
Carriere obbligate, vocazioni automatiche, seggi politici praticamente ereditari (anche se l’erede designato è riluttante o non particolarmente dotato)… Tutti elementi esattamente conformi al vecchio e odiato modello nobiliare.
Ricorda, invece, il passaggio dai Merovingi ai Franchi l’irresistibile ascesa di George H. W. Bush (il padre) che, dal vertice della CIA, fu elevato nel 1981 a diventare vicepresidente con Reagan, quindi a conquistare la Casa Bianca nel 1989, ma per un solo mandato. Battuto da Clinton, sarà vendicato da suo figlio, George W. Bush che, otto anni dopo, riporterà la famiglia alla guida degli USA, mentre l’altro fratello, Jeb, era Governatore della Florida. Un caso curioso in quanto già il padre aveva espresso in più occasioni qualche dubbio sulle reali doti dei figli.
Eppure il meccanismo della politica statunitense ha portato i Bush a essere il primo caso di padre e figlio entrambi Presidenti.
E se c’era riuscito Bush figlio, poteva farcela anche la moglie di Bill Clinton, Hillary Rodham Clinton che aveva ottenuto la candidatura alla Casa Bianca per il partito Democratico nel 2016. Sarebbe stato il primo caso di “staffetta” tra coniugi, ma gli elettori hanno premiato Donald Trump.
In pratica l’esperienza statunitense sta dimostrando che il confine tra democrazia e monarchia ereditaria è molto meno marcato di quanto pensassero i “founding fathers”..
Video intervista: https://vimeo.com/258244978
Link utile: http://www.passaggiogenerazionale.info/passaggio-generazionale-nella-storia/
Fonte: “Come gestire il passaggio generazionale nelle PMI italiane” di Gian Andrea Oberegelsbacher & Leading Network, Wolters Kluwer Italia (Ipsoa) 2017