L’organizzazione è da sempre una delle principali leve strategiche delle aziende, quale strumento imprescindibile per il raggiungimento degli obiettivi. Semplificando “dimmi che organizzazione hai e ti dirò che azienda sei”.
Nel corso di buona parte del secolo scorso, lo sforzo di ogni organizzazione era rivolto prevalentemente alla massimizzazione dell’output, per soddisfare la domanda di un mercato in continua crescita, in particolare nel secondo dopoguerra. A tal fine si sono sviluppati modelli organizzativi molto verticali ed efficienti in un contesto generale con regole stabili.
Solo negli ultimi decenni del secolo le aziende si sono trovate a fronteggiare un ambiente e un contesto economico sempre più complesso e mutevole. Ciò ha portato a trasformazioni essenziali nelle organizzazioni e nella governance. La competizione crescente e le maggiori aspettative dei clienti hanno spostato il focus organizzativo verso questi ultimi, che sono diventati il vero capitale dell’azienda.
Con il cliente come driver, le diverse funzioni dell’organizzazione hanno cercato meccanismi trasversali per integrare gli sforzi e guidare l’efficienza di ciascuna verso i medesimi obiettivi strategici e il successo; nascono i team di progetto interfunzionali. La riduzione della crescita economica e soprattutto la globalizzazione finanziaria iniziata negli anni ’90 ha contratto la disponibilità delle risorse a disposizione delle industrie, in particolare quelle finanziarie, focalizzando le aziende a un utilizzo efficace delle stesse per dare riscontri positivi in tempi brevi.
Le organizzazioni hanno risposto strutturandosi per processi (efficacia) piuttosto che per funzioni (efficienza) e allargando ancor più il controllo sulle filiere, per ottenere il più veloce e fluido lo stream di processo.
La “liquefazione” della società moderna, oltre a mettere in discussione valori, certezze, regole della società, ha avuto come conseguenza anche l’aumento esponenziale della complessità dei mercati, ove nulla è scontato, standardizzato e rimane stabile a lungo; non vi sono certezze nemmeno nelle regole del mercato. In tale contesto, che caratterizza il mondo dopo la crisi finanziaria del 2009, un ulteriore cambio organizzativo è richiesto alle aziende. È necessario ridurre ulteriormente il tempo di risposta al mercato, per cogliere opportunità mutevoli e a volte effimere. Occorre saper modificare le proprie tattiche e talvolta le strategie, combinando inderogabili obiettivi di breve termine con target strategici sostenibili sul medio-lungo termine.
Per agire in modo efficace, le aziende devono essere in grado di prendere decisioni e assumere iniziative in modo non verticistico, rivedere e modificare i propri processi, guardare più alla resilienza piuttosto che alla efficienza.
Ciò che più somiglia a un’ideale organizzazione ove tutte le sue parti concorrono all’obiettivo generale, attivandosi autonomamente, ma agendo con sincronia ed efficacia con altre funzioni, sono gli organismi viventi complessi.
Come ci stanno spiegando le scienze biomediche negli ultimi trent’anni (in particolare la PNEI – Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia), il nostro organismo non ha un unico centro di controllo (il cervello), responsabile di ogni attività del corpo. In realtà non solo il cervello ha porzioni funzionalmente (ed evoluzionisticamente) distinte che sovraintendono/influenzano direttamente (rete neurale) o indirettamente (flussi endocrini) attività diverse dell’organismo; ma molte altre essenziali attività sono svolte in modo autonomo da altri organi (ad esempio il sistema endocrino) dell’organismo.
La fondamentale caratteristica di questo complesso sistema è che, indipendentemente dagli organi coinvolti, dai mezzi o dai canali di comunicazione, tutte le parti sono fittamente e profondamente interconnesse e si influenzano a vicenda. Il fine di tutto ciò è la sopravvivenza dell’organismo stesso e la sua specie e noi sappiamo, come ci spiegava Darwin, che non sopravvive la specie più forte, ma la più resiliente/adattiva.
Se “approfondiamo” questa ardita similitudine tra organismo e azienda, siamo portati ad alcune conclusioni che ritroviamo nelle più recenti teorie sulle organizzazioni vincenti in un generale contesto di incertezza.
Le cellule, oltre a svolgere delle funzioni specifiche, sono in grado di esercitare elementari funzioni di difesa e controllo, di ripararsi e riprodursi e comunicano con altre cellule. Ogni membro dell’azienda deve svolgere un ruolo preciso, ma deve necessariamente avere le deleghe e le competenze per gestire al meglio tale ruolo, una volta definite le regole di ingaggio con gli altri membri.
Le mutazioni sono un evento naturale, possono essere favorevoli, neutre o sfavorevoli alla vita dell’organismo, il quale tende a eliminare queste ultime tramite il sistema immunitario (non è un caso che la maggiore biodiversità si ha in ambienti ove coesistono molti ecosistemi, che danno spazio a molte forme evolutive concorrenti, parassite, simbiotiche); non possono essere evitate, vanno invece sfruttate se favorevoli e controllate o eliminate se dannose.
Le risorse creative, critiche e non allineate non vanno combattute per principio, vanno anzi valorizzate e canalizzate affinché siano proattive, perché solo approcci o visioni diversi possono portare innovazione in azienda.
Il DNA degli organismi complessi costruisce un sistema strutturato per agire e reagire ai condizionamenti dell’ambiente esterno e interno dell’organismo stesso, alla ricerca della propria omeostasi. Le aziende devono permeare la propria cultura e costruire i processi in modo tale che l’azienda stessa possa agire e reagire, adattandosi rapidamente, alle mutevoli situazioni esogene ed endogene, difficilmente prevedibili. Per realizzare quanto detto, il bagaglio culturale e le competenze di uomini e donne che operano in azienda deve essere decisamente superiore che in passato.
Infatti a tutti i dipendenti sono richieste quanto meno diffuse capacità decisionali e di iniziativa, se non proprio una vera cultura manageriale. Il ruolo chiave dei lavoratori viene quindi enfatizzato e generalizzato, perché il valore del “fattore umano”, al quale concorrono l’insieme di valori e cultura della azienda e dei suoi stakeholder, è ormai decisamente strategico e centrale in azienda. Diventa quindi imprescindibile investire maggiormente sulle persone, non solo per aumentarne competenze e conoscenze, ma anche per educarle a un approccio più proattivo e responsabile.
Per lo stesso motivo, tale investimento non può essere solo compito del mondo imprenditoriale, ma deve partire dalla scuola e dalla struttura sociale, se si vuole garantire un futuro ai nostri giovani e un potenziale umano tale da conservare la competitività del nostro paese, in un mercato globale ove l’impiego di “intelligenza artificiale” è destinato a rivoluzionare la società e non solo il ruolo dei manager.
Questo nuovo contesto, infatti, mette a dura prova i manager che, formatisi negli anni ’90, oggi non hanno le competenze tecniche e probabilmente la cultura necessaria per gestire una sorta di change management continuo, quasi strutturale.
È partendo da questo scenario che Leading Network ha creato un gruppo di studio per approfondire il tema dei paradigmi organizzativi idonei ad affrontare le sfide aziendali. È stato lanciato un progetto di lungo termine che, avvalendosi di specialisti del settore, presenterà le visioni, le tecniche e le best practice organizzative degli ultimi anni. Saranno inizialmente approfondite la teoria e la tecnica ai modelli organizzativi emozionali, adattivi e agili, tramite workshop per i propri associati, proposti tra l’ultimo trimestre 2019 e il primo trimestre del 2020.