Libere riflessioni di un manager in un periodo di transizione
Leading Network Magazine on line inizia la sua attività all’interno di un percorso formativo per Temporary Manager che l’associazione ha organizzato con il nome di LBS Leading Business School.
Da quando abbiamo lanciato il progetto LBS , cercando analogie nelle reminescenze scolastiche, forse con un esagerato orgoglio, il pensiero mi porta alla sicuramente più famosa e importante scuola di Fisica di Copenaghen organizzata da Neils Bohr nel 1922: una grande fucina di premi Nobel alla quale si deve il maggior contributo alla elaborazione uno dei più importanti modelli interpretativi della realtà: la meccanica quantistica.
Non penso assolutamente che la nostra piccola esperienza formativa possa essere a quella paragonata. Sono però convinto che da quella esperienza possiamo umilmente selezionare interessanti stimoli.
Quello che mi ha colpito, e che ritengo di grande interesse, è il metodo di lavoro. Si dice che N. Bohr, adorasse discutere, confrontarsi; più stanava gli errori, anche suoi, più era felice, sempre alla ricerca di un dialogo serrato di idee ed esperienze con tutti coloro che potevano contraddirlo. Il suo motto era: “Nessuno è escluso dalla possibilità di migliorare, metto il mio pensiero apertamente a disposizione di chi ha la possibilità di sottoporlo a critica”.
Sotto questa bandiera, attorno a lui, si è formata una straordinaria rete di relazioni fra fisici provenienti da tutto il mondo e le nuove teorie trovavano audizione interessata alla scuola. Si ricorda che Neils Bohr, sulla prima fila di banchi, usasse piazzare una trombetta e un cannoncino: la prima a premiare le esposizioni brillanti, il secondo per bocciare quelle lacunose. Ad azionare erano quelli che sarebbero diventati premi Nobel e futuri riferimenti per la nuova fisica: da W. Heisemberg a W. Pauli, da A. Einstein a M. Born, W. Schrodinger, P. Dirac, per citarne solo alcuni.
I confronti erano serrati e non sempre era facile accettare delle correzioni. Famosa e proverbiale l’autocritica di A. Einstein quando, durante una epica e focosa discussione con N. Bohr sulla, per lui, poco digeribile fisica quantistica, passa da una iniziale “Dio non gioca con i dadi” a una accettazione del fatto che “Dio non gioca con i dadi, ma qualche volta fa delle eccezioni”.
Rete di relazioni e confronto aperto sono stati gli ingredienti del loro successo.
Quello che stiamo proponendo ai soci, almeno così lo immagino, attraverso il veicolo LBS è proprio questo: un luogo di relazioni e confronto fra manager che hanno idee, competenze, esperienze, interessati a migliorarsi.
Un campo libero aperto dove persone curiose, attente alle novità, appassionate del loro lavoro, possano confrontarsi e convergere su sintesi migliorative. Gruppi di lavoro, workshop e adesso rivista online devono essere le modalità organizzative dove suonare “trombette” quando le idee sono buone o azionare “cannoncini” quando sono da correggere.
Non saremo certamente decisivi per le sorti dell’umanità come lo è stata la scuola di Copenaghen ma lo possiamo e vogliamo essere per tante realtà economiche nelle quali operiamo.
Ora, nel 2018, per i manager, quali sono gli indirizzi, gli ambiti di investigazione e approfondimento sui quali ci dovremmo impegnare? Quali sono i Terreni inesplorati che sentiamo la necessità di conoscere, padroneggiare? Quali i limiti da superare, le carenze nella nostra formazione da correggere per essere efficaci?
La stessa Scuola di Copenhagen ci possa offrire ulteriori spunti di utile riflessione.
La sua produzione teorica è stata una delle pietre miliari che segnano il confine fra una visione deterministica e lineare delle vicende del mondo, quello schema di pensiero che ha dominato gli ultimi tre secoli e che in modo largo chiamiamo “modernità”, e una visione che fa i conti con la complessità, la casualità e l’imprevedibilità, dove domina l’incertezza. Ma la nostra formazione è ancora impregnata di visioni dove è prevalente pensare che ciascun evento sia effetto di un evento precedente e causa di quello successivo, convinzione sempre più smentita e contraddetta dall’esperienza.
Come nella fisica gli strumenti deterministici, quelli che vedono in Newton il principale iniziatore, non sono più interamente utilizzabili, così nel nostro lavoro, nei nostri “laboratori aziendali”, immersi ormai in processi che chiamiamo genericamente Globalizzazione e Rivoluzione Tecnologica, dove le variabili principali sono numerose e alcune persino imprevedibili, i cambiamenti sono rapidi e mai lineari, siamo costretti ad aggiornare le nostre competenze, progettare modi alternativi di operare.
Diventare “manager dell’incertezza”!
Proviamo, per stimolare la discussione, a esaminare alcune delle principali funzioni manageriali per verificare se si basano su presupposti adeguati a questa nuova percezione della realtà e immaginare quali potrebbero esserne gli aggiustamenti.
Pianificare le attività è una delle azioni fondamentali per un manager. Il Project Management contiene gran parte degli strumenti di pianificazione, il bagaglio culturale, la cassetta degli attrezzi, dal piano industriale al budget sino al piano vendite, acquisti, produzione. Si basa sul presupposto che il futuro può essere predetto accuratamente, accetta che il trend continuerà certamente nel futuro, e a un’azione corrisponda una reazione univoca.
Siamo anche condizionati dall’idea Newtoniana, assolutamente falsa, che nelle stesse condizioni ambientali e realizzative gli eventi debbano riprodursi nello stesso modo: quando ormai è chiaro che la ripetizione esatta della condizioni sia praticamente impossibile e che, anche se lo fosse, l’evento che ne scaturirebbe potrebbe essere totalmente diverso e imprevisto. Quante volte abbiamo visto manager pianificare azioni per obiettivi ambiziosi, fiduciosi di raggiungere brillanti risultati solo perché hanno tentato di riprodurne le condizioni nelle quali hanno operato concorrenti di successo. Si pensa, sbagliando, che facendo la stessa cosa si otterrà lo stesso risultato!
Oppure, continuo a fare quello che ho sempre fatto e il risultato sarà assicurato!
L’intera nozione di pianificazione come predizione di eventi futuri deve essere ripensata.
Come deve essere preparato e considerato un piano, qualunque ne sia l’oggetto, perché tenga sufficientemente conto della variabilità e imprevedibilità? Ci sono nuovi parametri da considerare? Nuovi approcci alla pianificazione? Ci sono nuovi strumenti matematici da utilizzare? Modelli probabilistici o stocastici?
Individuazione, analisi e gestione dei rischi? Le analisi che tradizionalmente accompagnano eccellenti Business Plan, come SWOT, Porter, ecc. , sono a volte buone fotografie del presente ma proiettate linearmente nel futuro, come integrarle? Progetti di investimento, tipicamente ripagati nel futuro, come devono essere affrontati quando si considera l’approssimazione dei presupposti?
Ovvero, quali nuovi aspetti devono essere considerati quando si prendono decisioni? Descrizione di Best e Worst case sono sufficienti o dobbiamo introdurre nuove considerazioni e strumenti? Come dominiamo la nostra ansia quando i risultati si scostano da quanto atteso e soprattutto quando e come interveniamo?
Se queste sono le domande che ci poniamo per la pianificazione di modelli di business consolidati. A maggior ragione dobbiamo affrontarle, ad esempio, nel caso di start up innovative. Inutilmente umiliante chiedere loro, come fanno molte Ventur Capital, business plan a 3/5 anni che manager improvvisati testardamente finiscono per redigere. L’innovazione è tipicamente un processo non lineare: si sa, più o meno, da dove si parte ma non si ha idea del punto di caduta.
Che dire poi delle PMI? L’orizzonte relazionale in cui operano è limitato dalle loro dimensioni, conseguentemente il patrimonio di informazioni che supporta la loro strategia di business è maggiormente soggetto a continui aggiornamenti, certamente non lineari, che non possono essere compresi in un Business Plan tradizionale.
Nella percezione del piccolo imprenditore infatti domina l’incertezza, deve fare bene quello che sta facendo, ma deve essere pronto ad abbandonarlo per adattarsi a nuove situazioni, atteggiamento che mal sopporta l’adesione a uno schema rigido come quello di un piano industriale preconfezionato.
Il tema non è nuovo e alcune risposte sono state proposte ma penso ci sia un forte bisogno di riflettere, di esaminarne le applicazioni, sottoporre i risultati a una feroce critica e inventare nuove prassi.
La discussione sembra diventare oziosa quando mi capita, come accaduto recentemente, di visitare un’ azienda di successo, perfettamente funzionante, pieno utilizzo degli impianti, dove ogni attività è giustamente inserita in una sequenza ben programmata, controllata, che collega con una catena ben oliata i fornitori ai clienti, con operatori che intervengono efficacemente disponendo di protocolli per ogni immaginabile situazione, i flussi di denaro che passano automaticamente dai clienti ai fornitori lasciando il giusto guadagno nelle casse aziendali mi riesce difficile affrontare il tema della imprevedibilità. Tutto sembra essere sotto controllo e possa continuare così all’infinito.
Infatti, nella maggior parte di situazioni aziendali brillanti, se solo si allarga lo sguardo per abbracciare una parte anche recente della loro storia, ci si accorge che ciò che si osserva è solo una fotografia, istantanea di una evoluzione aziendale avvenuta a volte rapidamente e in qualche momento in modo radicale.
Il Filmato, successione di istantanee nel tempo, in effetti racconta che il successo di quel momento è frutto di adattamenti continui ed efficienti ai nuovi mercati, ai cambi di prodotto, carenza/abbondanza di materie prime, all’utilizzo di tecnologie emergenti, evoluzioni di clienti e fornitori, evoluzioni normative, cambi di scenario geo politico, dinamiche monetarie, … Accadimenti quasi mai previsti!
Soprattutto quando si esaminano aziende ben condotte, si scopre un management particolarmente attento alle evoluzione dei fattori condizionanti il business, rapido nel percepirne i cambiamenti significativi e pronto a elaborare programmi di adattamento, senza che siano stati preventivamente compreso nei piani.
Un apparato efficiente viene considerato un buon punto di partenza e non un rigido, faticosamente conquistato, arrivo, perché il cambiamento può avvenire in qualsiasi settore, con tempi e modi imprevedibili e bisogna essere pronti.
Questo mi induce a ripensare a un’altra importante funzione manageriale: la leadership, ma anche alle forme di organizzazione, ai processi decisionali.
Incertezza, quindi, non come fattore negativo da limitare o controllare ma dato concreto reale da dominare e sfruttare. La sfida postmoderna per i nuovi manager.
Una sfida che non ha alternative se non la perdita di opportunità e assunzione di rischi ingestibili.
Tante domande cui rispondere con soluzioni sperimentate sul campo, se vogliamo, come è accaduto per i fisici dopo il 1922, entrare efficacemente nella attuale nuova era. Apriamo il dibattito e il confronto!