In questi anni abbiamo fatto numerosi interventi di temporary management in aziende caratterizzate da situazioni di croniche inefficienze produttive, che si manifestano in sistematici ritardi nelle consegne, significative non conformità e perdite importanti di marginalità date da disorganizzazione, perdita di clienti e perdita di reputazione.
L’approccio legato all’analisi e alla risoluzione del singolo problema specifico, per esempio il ritardo di consegna, magari con tecniche lean, si è spesso rivelato poco efficiente. Un significativo passo avanti l’abbiamo fatto quando, invece di dedicarci al singolo problema specifico, si è cominciato a ragionare in termini di complessità di sistema, cercando di vedere l’azienda come una serie di comparti strettamente connessi tra di loro.
Questa nuova prospettiva ci ha portati a definire un modello qualitativo, chiamato “Formula della Complessità”, al fine di comprendere e gestire le problematiche di eccesso di complessità che caratterizzano molte PMI italiane.
Per fornire un esempio di questo cambiamento di prospettiva, ossia il passaggio dal focus sulla singola inefficienza alla visione olistica della complessità aziendale, possiamo analizzare il rapporto tra ordini ricevuti e ordini soddisfatti. Supponiamo che un’azienda accetti un numero di ordini superiore alla propria capacità produttiva, ritrovandosi poi a gestire un’altissima variabilità di prodotti e di mercati. Analizzando la complessità di sistema, l’azienda può decidere di agire non solo sulla produzione (aumento della capacità di gestione della complessità) ma anche sulla riduzione del problema a monte, cioè riducendo il catalogo prodotti e focalizzando sui mercati più profittevoli (riduzione della complessità immessa nel sistema dal modello di business).
Partendo da situazioni come questa, abbiamo definito una metodologia analitica basata sul concetto di complessità, suddiviso in due fondamentali categorie: la complessità che io riesco a gestire con la mia organizzazione, che chiameremo K₁, e la complessità generata dal mio business, che chiameremo K₂. È bene mettere in evidenza fin da subito che l’approccio qui presentato non è di carattere quantitativo, ma qualitativo. La formula è infatti uno strumento concettuale, piuttosto che un sistema matematico.
Secondo la formula della complessità, un’azienda si definisce in equilibrio se rispetta quanto segue:
K₁ – K₂ ≥ 0
Ossia se la complessità che io riesco a gestire con la mia organizzazione è superiore o uguale alla complessità generata dal mio business. Nel caso in cui questa formula venga rispettata, la complessità aziendale è sotto controllo. Quando invece il risultato della formula è minore di zero, allora la complessità del business è superiore alla capacità che il sistema aziendale ha di gestire tale complessità.
Entrando nel dettaglio della formula cerchiamo di definire quali sono le variabili fondamentali che caratterizzano K₁ e K₂.
Partendo dalla complessità che l’azienda riesce a gestire, definiamo K₁:
K₁ = (S + CA + QM + O + ST)
dove
- S = strumenti a disposizione;
- CA = competenze e abilità dei collaboratori;
- QM = quantità di risorse in termini di personale e loro motivazione;
- O = organizzazione;
- ST = standardizzazione dei processi.
Questo vuol dire che per incidere sulla capacità interna di gestire la complessità potrò lavorare, per esempio, sugli strumenti, oppure sui processi, oppure sull’organizzazione.
Sul piano invece della complessità generata dal business abbiamo:
K₂ = (P + NM + GP + GC + V)
dove
- P = complessità generata dal prodotto;
- NM = numero dei mercati sui quali la società opera;
- GP = ampiezza della gamma prodotti;
- GC = numero dei canali presenti;
- V = volumi trattati
Questo vuol dire che per diminuire la complessità del sistema posso agire sulla diminuzione del numero dei canali, oppure sulla riduzione della gamma prodotti o ancora sulla semplificazione del prodotto.
In conclusione, a fronte di una situazione di eccesso di complessità generata dal modello di business rispetto al livello di complessità gestibile da parte dell’azienda, ho ben dieci variabili su cui impostare la strategia di risoluzione del problema, cinque sul versante dell’organizzazione interna e cinque sul versante della gestione del business. La formula può quindi essere descritta anche nel seguente modo:
(S + CA + QM + O + ST) – (P + NM + GP + GC + V) ≥ 0
Il Business Model Canvas
In base ai suggerimenti di Stefano Maberino, socio di Leading Network, riteniamo molto efficace associare la Formula della complessità al Business Model Canvas, secondo una struttura logica esemplificata nel modello qui riportato:
Il Business Model Canvas è una tabella che esprime gli elementi fondamentali del modello di business di un’azienda, molto usato in ambito della consulenza strategica. Questo modello si basa sull’analisi di quattro aree fondamentali dell’azienda, all’interno delle quali vengono delineati nove specifici elementi:
- Sulla sinistra, l’infrastruttura (how/come), coniugata in partner chiave, attività chiave, risorse;
- Al centro, l’offerta o la proposta di valore (what/che cosa), elemento chiave di tutto il modello;
- Sulla destra, i clienti (who/a chi), dimensione definita dalla relazione con i clienti, dai canali distributivi e dai segmenti di clientela;
- Alla base del modello, la sostenibilità finanziaria (dimensione necessaria per il funzionamento e la solidità aziendali), coniugata in struttura dei costi e flusso dei ricavi.
L’esigenza di collegare la Formula della Complessità al Business Model Canvas è determinata in particolare da due ragioni. Innanzitutto, qualsiasi attività di miglioramento nella gestione della complessità aziendale non può prescindere dal modello di business scelto dall’azienda stessa. Inoltre, qualsiasi attività in merito alla complessità aziendale va inserita tenendo ben presente i vincoli dati dal modello di business.
A questo proposito, è evidente che, prima di semplificare una delle dieci variabili della formula della complessità, occorre chiedersi se tale variabile sia o meno fondamentale per lo sviluppo del business e se una sua eventuale modifica possa contraddire le assunzioni alla base del business model della stessa azienda.
Se, per esempio, nel modello di business è fondamentale la personalizzazione del prodotto in base alle esigenze del cliente, è evidente che non è possibile ridurre la complessità aziendale standardizzando il prodotto, in quanto verrebbe meno uno dei driver principali della creazione di valore per l’impresa. Si tratterà quindi di agire su quegli elementi del business che generano complessità senza generare valore per il cliente.
Sebbene la definizione della Formula della Complessità sia basata su un approccio qualitativo, la sua applicazione in un contesto aziendale non può prescindere dall’identificazione e dalla misurazione di KPI rappresentanti la complessità non correttamente gestita (ritardi nella consegne ai clienti, reclami dei clienti, eccessivo turnover dei dipendenti, non conformità, ecc.). Le azioni intraprese sulle variabili scelte della formula della complessità infatti trovano effettivo riscontro nel miglioramento dei KPI presi a riferimento.
Il nostro modello è quindi quantitativo solo nella misurazione degli indicatori di riferimento. Per il resto è soprattutto un sistema di ragionamento e di analisi dei rapporti causa-effetto all’interno del sistema azienda e nei rapporti con il business. Questo modello aiuta i gruppi di lavoro e le organizzazioni a ragionare e comunicare attraverso concetti condivisi.
La scelta quindi di agire, per migliorare i KPI, su un elemento o un altro della formula è frutto soprattutto di ragionamenti e di intuizioni che poi vanno effettivamente verificati sul campo, soprattutto in relazione agli effetti che producono.
Un altro elemento importante di cui tener conto è il costo degli interventi per ridurre i KPI che misurano la complessità generata. Infatti, potrebbe succedere che, per ridurre a zero le non conformità, l’azienda debba spendere cifre abnormi nello sviluppo di un controllo interno sul totale delle operazioni. È importante quindi, nella definizione dei livelli obiettivo dei KPI, tener conto in modo equilibrato dei costi che il raggiungimento di quel livello di riferimento comporta, in modo tale da evitare che i benefici generati non siano vanificati da costi superiori ai risultati.
Una volta definiti quali dei dieci elementi della formula saranno oggetto di specifiche azioni di miglioramento, si tratta di descrivere le azioni da effettuare per i singoli elementi della formula scelti, attraverso il modello A3, di cui inseriamo qui un esempio:
Il modello A3, il cui nome rispecchia la necessità di racchiudere l’analisi e la strategia in un solo foglio A3, impone di definire in maniera sintetica la situazione attuale di partenza e di descrivere quella di arrivo, evidenziando sulla sinistra gli ostacoli e le problematicità relative, mentre sulla destra il piano di azione, in cui saranno definiti anche i tempi dell’intervento.
Il complesso dei modelli A3, uno per ogni variabile della Formula su cui si è deciso di intervenire, forma il progetto complessivo di intervento, che troverà a sua volta la sintesi in un modello A3 finale.
Il miglioramento dei KPI di riferimento, a mano a mano che i progetti di intervento sulle diverse variabili saranno portati avanti, misurerà infine l’efficacia dell’intervento.